Ha compiuto da un po’ 83 anni, l’età e la vista progressivamente diminuita lo hanno… dirottato verso gli audiolibri, ma la sua invincibile curiosità continua a nutrirla quotidianamente con l’avidità di quando era studente. E in una sua canzone confessa la sua insaziabile natura “Io, Francesco Guccini, eterno studente…” Per i meno informati è un cantautore, tra i più importanti della propria generazione e ancora oggi ascoltato ed apprezzato da una schiera nutrita di fans. Per quelli che ne sanno un po’ di più, Guccini è anche scrittore, poeta, lessicologo, glottologo, dialettologo e sporadicamente attore. Uomo che ha abbracciato la cultura in ogni sua forma, ha scritto libri che raccontano dei suoi natali modenesi e della sua infanzia a Pavana, sull’Appennino tosco-emiliano. Libri e canzoni per esprimere la sua profonda sensibilità e la sua ricerca della verità, in connubio con la natura e senza mai dimenticare i meravigliosi limiti dell’essere umano.
Francesco Guccini è un cantore dell’anima, un menestrello della malinconia, i cui versi sono a tutti gli effetti assimilati a quelli dei poeti.
Non è infrequente che i testi di Guccini, al pari di quelli di De Andrè e Vecchioni, figurino infatti nelle antologie.
“Il vecchio e il bambino”, “Auschwitz”, “La canzone dei dodici mesi” sono i testi che più degli altri si prestano a un uso scolastico, ma un po’ tutta la produzione letteraria e soprattutto musicale del “maestrone” modenese è un mix di erudizione, filosofia, un “poetare” erudito ma non saccente. Guccini è di tutti: di coloro che amano il suo impegno politico e sociale, di quelli che sognano “dietro frasi di canzoni, dietro a libri e ad aquiloni, dietro ciò che non sarà”. Francesco racconta la vita, i suoi equilibri precari, le sue sfide impossibili, i sogni e naturalmente l’amore. C’è l’amore impossibile di Cirano, c’è quello non ricambiato della fanciulla protagonista de “Il compleanno”, e c’è anche quello inconsapevole di Antenor. C’è l’amore liso dal tempo della canzone “Incontro”, quello un po’ disilluso di “Canzone quasi d’amore”. C’è poi la malinconia, quella de “Il Pensionato”, che tra i suoni usati e strani dei suoi riti quotidiani ricorda la Bologna che fu al professore vicino di casa. Francesco Guccini trae grande ispirazione anche dai luoghi dove ha abitato, come in “Via Paolo Fabbri”: ricorda gli angoli, gli odori, i muri, i poster ad essi attaccati inneggianti all’America o alla libertà. “Vecchi muri proponevan nuovi eroi” in “Incontro”, dove a disegnare una soffusa malinconia sono “i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno”.
Francesco Guccini, tra le altre cose, trovò il modo di fare l’istitutore in un collegio e il cronista di giudiziaria a “La Gazzetta di Modena”. Esordì come musicista nel 1968 con l’album “Folk Beat numero 1”. In verità il giovane cantante aveva già collaborato con Caterina Caselli e I Nomadi, gli stessi che hanno portato al successo “Dio è morto”, canzone inizialmente considerata blasfema dalla Rai, ma poi elogiata dal pontefice, Paolo VI, per il messaggio di speranza che recava e trasferiva ai giovani. Guccini si guadagnò la sua fetta di pubblico, che nel 70 apprezzò “Due anni dopo”, album pieno di canzoni esistenziali, non più di protesta e di denuncia sociale, ma quasi leopardiano e non privo di un’influenza francese. Da quel momento il cantautore emiliano fu puntuale e persino prolifico nel proporre la propria arte di musicista ispirato. Oggi è impossibile stilare un elenco, anche sommario, delle canzoni che hanno fatto la storia ed hanno fatto sognare e riflettere tre generazioni. Possiamo però ringraziare “quel tipo perso dietro le nuvole e la poesia” per i versi e le note che ci hanno portato lì, dove ragione e sogno non bisticciano, ma costruiscono una sorprendente armonia.




