Di LIBERO MARINO
Stavolta il teatro del nostro incontro non è lo stadio. Il calcio giocato, per un week end, può anche attendere. Complice la sosta, ci vediamo nella sua Alatri, sopra l’antica e sontuosa Acropoli di Civita, uno dei tanti luoghi incantati di terra Ciociara, ammantata di storia e blasone. E’ un sabato godibilissimo di inizio primavera, Roberto mi aspetta in pieno centro, pronto a farmi da Cicerone lungo le bellezze della sua città dove, poco dopo, riusciremo finalmente a coronare la vecchia promessa del pranzo. Il momento conviviale, oltre a suggellare la nostra ormai trentennale amicizia, rappresenta anche il pretesto, tra una portata e un’altra innaffiata da un ottimo Cesanese, per una bella chiacchierata. Parliamo delle nostre passioni comuni: il calcio, il giornalismo e il tennistavolo. Fu proprio il ping pong a farci incontrare nel lontano 1992. L’eloquio di Roberto Mercaldo è chiaro e affascinante al tempo stesso, chiudi gli occhi e sembra quasi di leggerlo sulle pagine di Ciociaria Oggi e della Provincia Quotidiano, dove per anni è stato il dominus incontrastato dello sport. Una penna nobile del giornalismo sportivo ciociaro, e non solo. Che, varcata ormai la soglia dei 60 anni (anche se non si direbbe per niente, è rimasto giovane nello spirito e nell’aspetto), ancora regala emozioni ai suoi lettori. Continua a scrivere, infatti, per i siti Politica 7 e Telescopio Ciociaro: su quest’ultimo si occupa soprattutto di cultura. A dimostrazione che Roberto è giornalista con la G maiuscola.
Come nasce la passione per il giornalismo?
“Dopo la laurea in giurisprudenza alla Sapienza di Roma sembravo destinato a intraprendere la carriera di avvocato. Poco dopo, invece, nel 1989, si spalancarono le porte, anche grazie a una serie di fortunate contingenze, del quotidiano Ciociaria Oggi, nato pochi mesi prima per iniziativa dell’editore Giuseppe Ciarrapico. Ebbi subito l’opportunità di farmi apprezzare in redazione coronando il mio sogno da bambino, quando nei primi temi (che all’epoca si chiamavano “pensierini”) delle elementari manifestavo il proposito di diventare giornalista sportivo. Una passione precoce, la mia, che nel tempo poi sono riuscito a tradurre in un lavoro vero e proprio. Sono diventato giornalista professionista nel 1994. Un mestiere bello e maledetto insieme, il nostro.”
Perchè hai scelto le discipline sportive?
“Lo sport è sempre stato un ambito che mi ha affascinato. Al di là delle vicende agonistiche e del mero risultato sportivo che sono la faccia più nota della medaglia, vado a sviscerare quegli aspetti meno evidenti ma più gratificanti, rappresentando vicende dello sport come fossero spaccati di vita e fornendo racconti che possono arricchire la collettività. L’arricchimento di uno sportivo passa, a mio avviso, più attraverso la cultura della sconfitta come dimostra la meravigliosa storia di Sinner. La mia fortuna è stata quella di misurarmi con tante figure che da ragazzino avevo visto in tv come dei miti, quali Francesco Moser e altri”.
Il momento più bello di oltre trent’anni di professione?
“Ce ne sono diversi. Su tutti, quando il mio idolo di sempre, Alex Del Piero, lesse un mio pezzo dedicato a lui in occasione della sfida di serie B tra i miei due grandi amori calcistici, Frosinone e Juventus, disputatasi al vecchio Matusa. Poi le interviste a grandi personaggi come Mennea, Moser e Sandro Ciotti, che indossò per un anno la maglia canarina”.
E quello più buio?
“Quando, nel giugno del 2018, chiuse definitivamente i battenti la Provincia Quotidiano. Al di là della situazione personale, aleggiava anche la brutta sensazione che uno dei due organi di informazione del nostro territorio uscisse di scena nella quasi totale indifferenza delle forze politiche e imprenditoriali”.
Qual è lo stato di salute del nostro giornalismo?
“Credo che il nostro mestiere sia drasticamente cambiato per la preponderanza della rete, l’informazione ormai arriva in tempo reale attraverso i mezzi che tutti conosciamo, e questo ha portato fatalmente alla necessità di rielaborare la carta stampata, che è stata per anni il mio giardino, la mia casa. Ritengo che ora si debba compiere uno sforzo per rileggere e rivedere quello che è il giornalismo scritto, il cartaceo ormai non dà più la notizia in anteprima per cui c’è la necessità di fornire un servizio indispensabile e fruibile dal pubblico”.
E come?
“Attraverso, a mio giudizio, una lettura critica degli eventi e una rielaborazione più approfondita e attenta dell’articolo tesa alla ricerca di quegli aspetti che sicuramente un pezzo, messo in rete da uno dei tantissimi siti on line, non conterrà”.
Un consiglio a un neofita che voglia intraprendere questo non facile percorso…
“In primo luogo, bisogna crederci sempre. E questo non vale solo per il giornalismo. Bisogna essere convinti e mossi da una grande passione, sentire quel fuoco dentro che io, a distanza di circa 35 anni, ancora avverto fortemente”.
C’è un cruccio nella tua ormai lunga carriera?
“Un paio di occasioni ghiotte si presentarono a metà degli anni Novanta quando ricevetti un paio di offerte da due quotidiani nazionali. Ero dinanzi al classico bivio: alla fine prevalse il mio forte attaccamento al territorio e decisi di rimanere qui. Una scelta, comunque, di cui non mi sono mai pentito”.
Il tuo giornalista preferito?
“Sebbene il mito del bello scrivere sia tramontato da tempo, a me piace l’idea che il giornalista debba saper raccontare i fatti con un italiano chiaro e anche evocativo. Farlo in modo asettico, nelle pagine di cronaca, è un dovere precipuo, non derogabile, mentre nel racconto delle vicende sportive ci si può concedere qualche licenza, enfatizzando un po’ il concetto. Proprio per questo, Gianni Brera resta sempre, a mio giudizio, il maestro inarrivabile, l’esempio da seguire”.
Giornalismo e letteratura viaggiano a braccetto: che cosa pensi di questo rapporto?
“C’è sempre stata una simbiosi mutualistica, ritengo che raccontare debba essere un’arte e la letteratura è arte, una nobile rappresentazione del bello, scaturisce dall’armonia delle parole. Il giornalismo, per me, non può prescindere da questa visione: è importantissimo riportare fedelmente la notizia, essere aderenti ai fatti, però a me piace pensare che il giornalismo possa essere anche prosa, e che sia anche capace di sorprendere. La letteratura può e deve essere la principale ispirazione giornalistica. Penso a maestri del passato come Brera, Caminiti, Raschi e Cannavò, capaci come pochi di creare neologismi passati alla storia”.
Non hai mai fatto mistero della tua passione per la Juventus: come nasce?
“Avevo 7 anni e aspettavo il mio turno dal barbiere. Sul tavolo, tra le tante riviste, i miei occhi indugiarono su “Hurrà Juventus”, molto in voga in quel periodo. C’era un articolo di Vladimiro Caminiti che magnificava le doti acrobatiche di Pietro Anastasi, autore di un bellissimo gol in rovesciata ai danni, se non ricordo male, dell’Atalanta. Uscii dal barbiere con i capelli più corti e una squadra di calcio da tifare”.
Il campionato volge al termine: il Frosinone si salverà?
“Sono abbastanza fiducioso, nonostante gli ultimi risultati negativi. Il calendario sembrerebbe dare una mano, sicuramente i canarini devono ritrovare quella feroce determinazione che aveva scandito la prima parte di torneo”.
Football a parte, quali sono gli altri sport di Roberto Mercaldo?
“L’atletica leggera, senza dubbio, disciplina che richiama l’affascinante mondo dell’antica Grecia e che consente allo sport di fondersi col mito. Poi il ciclismo e il tennis. In questo momento è la disciplina che seguo di più a livello professionale”.
Se non avessi fatto il giornalista?
“L’avvocato o l’insegnante di lettere”.




